martedì 17 febbraio 2009

Bisogna scegliere: riposarsi o essere liberi

"La politica è uno strano mestiere perché presuppone due capacità che non hanno tra loro nessun rapporto intrinseco. La prima è la capacità di accedere al potere. Se non si accede al potere, le migliori idee del mondo non servono a nulla; perciò è necessaria l'arte dell'accesso al potere. La seconda capacità è quella di saper governare, una volta conquistato il potere.
Nulla garantisce che chi è in grado di governare sappia anche accedere al potere. Nella monarchia assoluta, per accedere al potere bisognava adulare il re [...]. Oggi, nella nostra pseudodemocrazia quello che serve è invece essere telegenici e avere fiuto per l'opinione pubblica.
Se dico pseudodemocrazia è perché ho sempre pensato che la cosiddetta democrazia rappresentativa non sia una vera democrazia. Lo aveva detto anche Jean-Jacques Rousseau: gli inglesi si credono liberi perché eleggono i loro rappresentanti ogni cinque anni. Ma sono liberi un solo giorno in cinque anni, il giorno delle elezioni: tutto qui. Non che le elezioni siano truccate, che vi sia qualche imbroglio nelle urne; Sono truccate perché le opinioni sono predefinite. Nessuno ha chiesto al popolo su che cosa vuole votare. Gli si dice: "Votate in favore di Maastricht o contro". Ma chi ha fatto il trattato di Maastricht? Non certo il popolo. C'è una meravigliosa frase di Aristotele: "Chi è cittadino? E' cittadino colui che è capace di governare e di essere governato".
Ci sono sessanta milioni di cittadini in Francia. Perché non dovrebbero essere capaci di governare? Perché tutta la vita politica mira precisamente a farglielo disimparare, a convincerli che i problemi debbano essere affidati agli esperti. Esiste dunque una controeducazione politica. Mentre ciascuno dovrebbe abituarsi a esercitare ogni sorta di responsabilità e a prendere iniziative, si viene invece abituati a seguire, o a votare opzioni presentate da altri. E qual è il risultato? Dato che la gente non è affatto idiota, è sempre meno disposta a credere, diventa sempre più cinica. 
[...] Si sono dissolte le grandi ideologie politiche, oggi domina la rassegnazione. E non se ne uscirà se non risorgerà una vera, vigorosa critica del sistema e se non vi sarà una rinascita dell'impegno, della partecipazione della gente.
[...] Tutti sono capaci di governare, la politica non è materia da specialisti. Non esiste una scienza della politica. Esiste un'opinione, la doxa dei greci, ma non un epistème, una scienza. L'idea che non vi siano specialisti della politica e che le opinioni si equivalgano è la sola giustificazione ragionevole del prinicipio maggioritario. Per esempio, presso i greci, il popolo decide, e i magistrati sono sorteggiati o designati a rotazione. Quanto alle attività specializzate, costruzione di cantieri navali o di templi, operazioni belliche, c'è bisogno di specialisti; i quali vengono eletti. Sono queste le elezioni.
Elezione vuol dire "scelta dei migliori". E' qui che interviene l'educazione del popolo. Bisogna che sia coltivata la doxa. E come può essere coltivata una doxa che riguardi il governo? Governando. Dunque la democrazia è una questione di educazione dei cittadini, che oggi non esiste affatto. I deputati, gente che viene chiamata continuamente a decidere, sono asserviti ai loro tecnici, dispongono dei loro esperti, ma hanno anche pregiudizi e preferenze. Se si segue da vicino il funzionamento di un governo, si nota che i dirigenti non si fidano degli esperti, ma scelgono tra questi coloro che condividono le loro opinioni. E' un gioco completamente stupido, ma è in questo modo che siamo governati.
Le attuali istituzioni respingono la gente, l'allontanano, la dissuadono dal partecipare alla politica. Mentre la migliore educazione alla politica è la partecipazione attiva. La gente oggi è molto più scettica e critica, ma è anche più inibita quando si tratta di agire. Nel suo discorso agli ateniesi, Pericle disse: "Solo noi siamo capaci di riflessione senza essere inibiti nell'azione, gli altri o non riflettono, e allora sono temerari e commettono assurdità, oppure, riflettendo, finiscono per non far nulla, perché pensano che se esiste un discorso esiste anche il suo opposto".

Cornelius Castoriadis