lunedì 10 novembre 2008

Dal sogno alla vita

La vita cambia e mi entra più forte. E i sogni si plasmano su questo. Il sogno forse più banale o il migliore, trovarsi scalzi in un bosco all’imbrunire e correre correre correre. E’ davvero un sogno banale ma non l’avevo mai fatto. Che banale, meravigliosa sensazione… C’era un gran vento, e il bosco potrebbe inquietare, ma invece era parte di me, e il vento correva con me ed io mi sono accorta di non avere la scarpe e che non me ne importava nulla. Sogno sintomatico e somatico. Ho fatto tanti bei sogni sempre carichi d’emozione e di desiderio, ma questo è stato il migliore in assoluto, non era emozione forte e turbinosa, era puro sangue e respiro libero, correre senza stancarsi e ridendo a fianco agli alberi saggi che vivono staticamente e dinamicamente allo stesso tempo. E osservano la vita e la assorbono e parlano delle infinite vite che hanno assorbito come spugne. E non è una metafora, perché se li tocco io sento come una scossa… Questo non è sogno, toccare la corteccia, accarezzarla fa circolare qualcosa dentro, tremare in questa insolita comunicazione senza eguali, tremare fino a sentire una vera e propria sensualità, immedesimarsi e fondersi in quel legno vivo (vivo di sua propria vita e vivo in quanto contiene mille vite) fino a toccare l’apice in un fremito imparagonabile ma comunque analogo al fremito di due corpi che si amano e che, amandosi, raggiungono il culmine della salvifica pienezza rivelatrice, che ti disillude affinché tu la smetta di pensare, almeno per un attimo, che siamo singoli e autonomi nella molteplicità ma bensì un tuttuno necessario a se stesso, una cosa sola con l’altro, che sia corpo umano, albero o qualsiasi altra cosa. Che da soli siamo contingenti, che fusi in un’unica pangea di piacere siamo necessari, annullandoci ma diventando il tutto, ecco l’unico assoluto possibile. Ecco l'unico vero senso.
E quando un albero cade, lento e inesorabile, con in successione il rumore delle fronde a contatto con l'aria e poi quel tonfo contro la terra (che è la stessa madre di quell'albero, figlio che cade in seno alla madre), come la fucilazione di un gigante... Quando un albero cade, e sembrava che invece sarebbe stato immortale, rispetto alle nostre piccole vite, c'è qualcosa che inevitabilmente si rompe dentro. Qualcosa di inquietante accade dentro l'anima degli stessi che
l'hanno fatto cadere, perché niente e nessuno, né guerre, né dittature, né artifici che tentano di distruggere l'armonia della natura, né sofferenza possono cancellare il nostro legame con la terra, la nostra dipendenza dalla terra, che è nostra origine, nostro nutrimento e nostra fine.

Manuci

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